Un felino da "sentire"

#feelXE

Mai avrei immaginato di tornare a guidare una Jaguar dopo pochi anni dall’essermi separato, a malincuore, dalla vecchia XJ40 equipaggiata con l’ultima versione del glorioso 6 cilindri in linea: una delle auto che più amavo al mondo; e tanto meno, qualche anno fa, avrei immaginato di rimanere così entusiasta di una “piccola” Jaguar nel cui vano motore pulsa un cuore a ciclo diesel.

Non posso definirmi un “progressista” dal punto di vista automobilistico, ma nemmeno uno scellerato e cieco tradizionalista, che dell’estremismo conservatore fa la sua bandiera. Diciamo solo che, per talune case, specie se inglesi e di quelle che magari nei libretti d’uso e manutenzione dei propri veicoli riportano l’araldo della Casa Reale inglese, mi aspetto una sorta di continuità e di non sconfessione del proprio status. Appare abbastanza chiaro, quindi, che nonostante la mia vecchia anima Fordista, un’altra Jaguar come quella che è stata la X-type, non sarei proprio stato in grado di tollerarla.

Il timore di ritrovare la stessa logica usata in passato per la “Mondeo nobilitata” nella realizzazione della nuova XE era quindi presente nonostante fossi ben consapevole che da quando il gruppo JLR – di cui Jaguar fa parte – è stato acquisito dalla Tata Motors, molte cose sono cambiate. All’atto dell’acquisizione di Jaguar da parte del gruppo indiano e del conseguente smembramento delle case satellite di Ford, che vedeva separare i destini di Aston Martin e Jaguar, fui molto turbato; anche se non quanto chi pensava al nuovo acquirente della casa inglese facendo riferimento alle auto prodotte (le Tata, per l’appunto). Personalmente preferivo pensare ai lussuosi hotel, nella speranza che, i nuovi proprietari, avrebbero saputo considerare il marchio inglese per quello che era e, almeno in questo, la storia recente mi ha dato ragione.

Da allora il linguaggio stilistico di Jaguar è profondamente mutato, e nonostante un mio primo momento di interdizione di fronte agli allora nuovi modelli, l’ho compreso percependo quanto, sino a quel momento, Jaguar era rimasta, da quel punto di vista, “ferma” troppo a lungo. L’ultima XJ dell’epoca Ford rimaneva una bella auto ma aveva tentato di fondere una linea vecchia di 30 anni con le necessità e le proporzioni attuali, coniugando forzatamente un design leggero e dinamico con dimensioni e volumi nel tempo cresciuti in altezza. L’ X-Type infine, quella che sono solito chiamare la “Mondeo d’alto lignaggio”, altro non era che un mero tentativo di realizzare una mini XJ (con telaio Ford Mondeo, ergo con motore trasversale e trazione anteriore).

Con la XF e la nuova XJ il design ruppe con il passato in modo netto, e gli stilemi ricorrenti, che sino ad allora avevano rappresentato l’eredità del marchio, lasciarono (giustamente) il posto ai concetti che li avevano generati: il dinamismo, la velocità, l’eleganza e l’esclusività. Le linee potevano piacere o meno, ma la logica con cui ha avuto luogo questo progresso è stata ineccepibile.

A tale evoluzione del design è stato inoltre accompagnato un aspetto che, fortunatamente, tutti i costruttori europei stanno comprendendo essere ciò che più d’ogni altra cosa può fare la differenza con i competitor stranieri emergenti: l’handling ed il piacere di guida; in poche parole, l’emozione che le automobili suscitano guidandole. E Jaguar è stata senz’altro capace di alzare l’asticella, con riferimento a quest’aspetto, con tutti i suoi modelli recentemente prodotti e, ultima nella lista (ancora per poco visto l’imminente arrivo nel mercato della nuova XF) con la XE.

Stilisticamente la XE, almeno all’esterno, non presenta apparentamenti evidenti con il resto della gamma, salvo per il frontale con l’ampia calandra ed i fari anteriori in cui spicca l’emblematica J luminosa. Le nervature sul cofano amplificano la sensazione di dinamismo e potenza mentre la linea laterale, pulita ed equilibrata, scivola sinuosa per tutta la fiancata, chiudendo con la compatta coda sulla cui sommità campeggia uno spoiler appena accennato. 

I fari posteriori a led richiamano il motivo presente in quelli della F-Type, che a sua volta sono una moderna interpretazione ed omaggio a quegli splendidi oggetti di design posti sulla coda della Jaguar più rappresentativa ed affascinante, la cui eterea bellezza ha sempre mosso le fantasie degli appassionati d’ogni epoca: la E-Type prima serie.

Gli interni sono un pregevole esempio di semplicità ed eleganza, con la foggia dell’inserto in materiale pregiato, mutuata da quello dell’ammiraglia XJ, che “abbraccia” gli occupanti dell’abitacolo comparendo nei pannelli porta e prolungandosi al di sopra di tutta la plancia. Questa ha come punto focale l’ampio schermo da 8 pollici dedicato all’infotainment, al di sotto del quale si trovano i comandi del climatizzatore ed il pulsante dell’accensione; il possente tunnel centrale prosegue con il magnifico comando a scomparsa del cambio automatico sequenziale ZF ad 8 rapporti, le relative opzioni di marcia ed i controlli elettronici per la dinamica della vettura.

Il volante multifunzione, delle giuste dimensioni e rivestito in morbida pelle, fa da cornice ai due quadranti analogici ed a quello digitale centrale, riportante i dati più significativi del veicolo. Dietro alle due razze laterali si trovano facilmente i comandi della felicità: i due paddle che controllano l’entusiasmante trasmissione automatica ad 8 rapporti in modalità sequenziale.

La XE viene offerta con 5 motorizzazioni, tutte sovralimentate: 2 diesel e 3 a benzina. I due motori a gasolio sono, in realtà, il medesimo propulsore 2 litri a 4 cilindri con 2 differenti livelli di potenza: 163 e 180 cavalli, mentre fra i 3 “nobili” benzina si trovano due 2 litri 4 cilindri, uno da 200 e l’altro da 240 cavalli ed il 3 litri V6 da 340 cavalli che equipaggia la sportiva F-Type.

Arrivato in concessionaria mi vengono presentate, in modo molto professionale ed accurato, la filosofia del nuovo veicolo e le caratteristiche salienti delle varie versioni. La parola chiave è leggerezza, dovuta al quasi esclusivo utilizzo dell’alluminio, salvo rare eccezioni necessarie a raggiungere il perfetto bilanciamento dei pesi tra i due assali (50:50). Tutte le caratteristiche che mi vengono elencate fanno presumere sia un piccolo gioiello: la rigidità torsionale elevata, la raffinata architettura delle sospensioni, il cambio automatico e le motorizzazioni di nuova generazione. Non resta altro da fare che mettersi alla guida della vettura a me destinata: una XE Prestige equipaggiata con il 2.0 i4 turbodiesel da 180 cv automatica e verificare in cosa si traducono tutte queste pregevoli caratteristiche inserite in un’auto che dovrà reggere il confronto con automobili quali Mercedes Classe C e BMW Serie 3.

Aperta la portiera si viene accolti da un ambiente moderno ma con quel sapore un po’ British che ogni Jaguar deve indiscutibilmente possedere. I sedili in morbida pelle sono confortevoli ma danno il giusto grado di sostegno e le ampie regolazioni degli stessi consentono, ai fanatici del baricentro basso, di sprofondare con il sedile ad una quota prossima a quella del fondo della vettura. La corona del volante si impugna bene e tutti i comandi sono disposti ordinatamente e sono facilmente raggiungibili.

Acceso il quadro strumenti le lancette di contagiri e tachimetro si animano mentre il propulsore diesel, già caldo, non fa percepire la sua voce nell’abitacolo. Decido di usare il comando sequenziale del cambio e sfioro l’acceleratore, la cui sensibilità è maggiore di quella attesa. La spinta del 4 cilindri e la sensazione di incremento della velocità sono ben avvertibili, anche se il ridotto beccheggio consentito dalla taratura rigida delle sospensioni non permette di avere l’illusione d’essere a bordo di un F14 Tomcat. La spinta a bassi e medi regimi è notevolissima e già da questo fatto si percepisce quanto la leggerezza della vettura consenta ad un propulsore da 180 cavalli di regalare prestazioni di tale portata. Il percorso a disposizione per la prova è breve ma sufficientemente vario per poter saggiare le doti di maneggevolezza della XE. Nelle curve più strette, con i controlli elettronici inseriti, per quanto si tenti di esagerare l’auto non consente di farlo ma, cosa assai gradevole, non dà potenza per poi far avvertire il taglio imposto dalla centralina; semplicemente, non ne dà, non facendo nemmeno accorgere all’ipotetico passeggero cardiopatico seduto a fianco che si è tentato di farlo fuori con una curva alla Gilles Villeneuve.

Acceso il quadro strumenti le lancette di contagiri e tachimetro si animano mentre il propulsore diesel, già caldo, non fa percepire la sua voce nell’abitacolo. Decido di usare il comando sequenziale del cambio e sfioro l’acceleratore, la cui sensibilità è maggiore di quella attesa. La spinta del 4 cilindri e la sensazione di incremento della velocità sono ben avvertibili, anche se il ridotto beccheggio consentito dalla taratura rigida delle sospensioni non permette di avere l’illusione d’essere a bordo di un F14 Tomcat. La spinta a bassi e medi regimi è notevolissima e già da questo fatto si percepisce quanto la leggerezza della vettura consenta ad un propulsore da 180 cavalli di regalare prestazioni di tale portata. Il percorso a disposizione per la prova è breve ma sufficientemente vario per poter saggiare le doti di maneggevolezza della XE. Nelle curve più strette, con i controlli elettronici inseriti, per quanto si tenti di esagerare l’auto non consente di farlo ma, cosa assai gradevole, non dà potenza per poi far avvertire il taglio imposto dalla centralina; semplicemente, non ne dà, non facendo nemmeno accorgere all’ipotetico passeggero cardiopatico seduto a fianco che si è tentato di farlo fuori con una curva alla Gilles Villeneuve.

I molti rapporti vengono snocciolati velocemente uno dopo l’altro e ci si accorge presto di quanto sia facile far cose proibite su strade aperte al traffico. La sicurezza data dagli pneumatici larghi (225 R19 all’avantreno e 255 R19 al retrotreno) e dal telaio “monolitico” fanno percepire tutto il lavoro svolto dalle raffinate sospensioni, che permettono ciò che un driver vorrebbe sempre, cioè “sentire” l’auto e capire cosa sta accadendo a livello telaistico. Ed è stato proprio nel momento in cui ho affrontato una curva ampia ad alta velocità che ho compreso il vero significato dell’hashtag tanto pubblicizzato da Jaguar: #feelXE.

Quest’auto si “sente”, nel senso emozionale del termine. Certo, non bisogna avere preconcetti per il diesel (casomai vi fosse ancora qualcuno ad averne) o per il fatto che il design è profondamente mutato da quando Jaguar produceva la MK II o le XJ negli anni ‘60 e ’70 o ancora che gli interni, nelle versioni base della vettura, non sono un tripudio di pelle e radica, ma è un’auto capace di emozionare. 

E’ semplice “sentirla” entrando in empatia con lei guardandola dall’esterno, è semplice “sentirla” addosso una volta accomodatisi al suo interno, è semplice e naturale “sentirla” alla guida grazie al coinvolgimento che è in grado di dare.

Difetti? Un tempo si diceva che le Jaguar erano auto splendide anche perché era un piacere portarle nella propria officina di fiducia a risolvere quelle piccole “magagne” dalle quali erano costantemente afflitte. Fosse umorismo inglese o altro non è dato saperlo ma oggi, in un mondo globalizzato nel quale un competitor che si permette di produrre auto poco affidabili è fuori dal mercato, certe cose non possono più esistere: prova ne sia la presenza della garanzia di 3 anni che la casa dà sulla nuova XE. Più che difetti vi sono un paio di “licenze poetiche”, se così si vogliono definire, comunque facilmente superabili. La prima è la finitura un po’ “rustica” del terminale di scarico: un terminale cromato un po’ più curato nell’aspetto sarebbe senz’altro stato più appropriato. La seconda riguarda la presenza di un sovrapprezzo di 600 euro per avere il sedile posteriore abbattibile frazionabile 40:20:40.

In conclusione credo che, nonostante le sensibilità mutate da decenni di progresso tecnologico e cambiamenti sociali, anche Sir William Lions, l’uomo che nel secondo dopoguerra volle cambiar nome all’allora SS con quello di un suo modello, la Jaguar per l’appunto (il nome “essesse” in quegli anni non era bello da pronunciare o sentire…), sarebbe fiero di questa vettura, che incarna, traducendolo in chiave moderna, lo spirito dinamico dell’aggraziato ed elegante felino che lo ispirò.

Articolo Scritto da:
Antonio Polizzi
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