Profumo di Potenza

Alla scoperta di due gioielli di Maranello

I sensi di cui disponiamo dicono essere cinque. Ci aiutano a percepire la realtà che ci circonda in ogni istante e li “ascoltiamo” continuamente per svolgere qualsivoglia attività necessaria alla sopravvivenza. Alcuni di questi sono, però, considerati meno essenziali di altri e spesso ci si trova a sottostimarli, forse perché la fretta e la disattenzione indotte dall’insensata frenesia della nostra epoca ci spingono a farlo.

Anch’io, come molti, ho talvolta considerato l’olfatto un senso poco utile alla vita quotidiana; semmai, in un mondo nel quale le esalazioni di ogni genere possono rendere sgradevoli, oltre che poco salutari, le attività all’aria aperta, tale senso può rappresentare quasi un ostacolo piuttosto che un fattore utile ad arricchire la propria esperienza di vita quotidiana.

Vi sono stati casi in cui, però, questo senso mi ha regalato emozioni inebrianti e, forse ancor di più, aiutato enormemente a ricordarne altre, che credevo perdute per sempre nei meandri della mia memoria.

Qualche tempo fa, ad esempio, venni investito da un odore conosciuto ma che ormai faticavo a ricordare a cosa potesse esser associato. Pensando e ripensando ebbi un’illuminazione: era del tutto simile a quello, stupendamente gradevole (almeno per me) della benzina vera, quella rossa, al piombo. 

Indipendentemente dal grado di nocività del caro, vecchio combustibile (comunque non superiore a quello degli attuali carburanti in uso) posso senz’altro affermare che, in quel particolare frangente, il rapporto costi (per la mia salute fisica) / benefici (per quella “emotiva”) nell’odorarne gli effluvi fu senz’altro sbilanciato a favore dei secondi, in quanto di lì a poco i pensieri si mossero rapidamente accompagnandomi a mille ricordi: dal garage saturo di quell’odore quando rientrava a casa mio padre alle sensazioni che provavo alla vista di quello splendido raduno che annualmente si svolgeva in una nota località balneare nel nord Italia, di automobili le cui linee basse, slanciate e solitamente avvolte da un magnifico vestito rosso, sfilavano davanti agli occhi del bambino che ero, emettendo smodate quantità di vibrazioni e scoppiettii dagli scarichi oltre che il solito, inebriante, profumo di benzina rossa, combusta e non. Tutte quelle auto trasudavano passione e velocità anche a 20 all’ora, e vederle portare fiere gli scudetti gialli con il cavallino rampante che Francesco Baracca donò al Drake era molto più che emozionante; ricordo che a causa di tutti quegli input visivi, uditivi ed olfattivi ero quasi intimorito da quegli stupendi stalloni selvaggi che passavano innanzi ai miei occhi colmi d’amore e di soggezione per lo spettacolo a cui stavano assistendo. Sognare a quell’età era l’attività preponderante, ma nonostante sapessi quanto difficile sarebbe stato poter guidare uno di quei purosangue nel corso della mia vita, mi ripromisi di riuscirci prima o poi.

Il tempo, l’età e la cultura acquisita in campo automobilistico sono poi riuscite a mitigare, razionalizzando, quell’idolatrare le Ferrari; ma come italiano e malato di automobili non nascondo che, in fondo al cuore, l’ammirato stupore nel veder passare una rossa di Maranello, è rimasto intatto. E forse è proprio a causa di quelle vibrazioni, entratemi nelle ossa quando i miei anni di vita si contavano sulle dita di una mano, che la promessa fatta a me stesso da bambino l’ho inseguita e, seppur per pochi minuti, sono riuscito a realizzarla. Nervoso ed eccitato mi alzo presto e, arrivato in autodromo, scorgo subito le due piccole opere d’arte su ruote che sono a me destinate, almeno per oggi.

Sono passati gli anni dei carburatori e della benzina rossa con l’odore dei gas incombusti ed il motore comandato dalla sola meccanica e dall’elettricità: in poche parole non sto (purtroppo, ma non è certo questo il momento di vedere il bicchiere mezzo vuoto) accingendomi a provare una F40 o una 288 GTO ma sto per scoprire quali brividi riusciranno a darmi due moderne espressioni del genio della casa di Maranello, che non vedono più campeggiare nel tunnel centrale il selettore a griglia ed il pomello del cambio in alluminio satinato accanto ad un volante in pelle scarno e pesante ma offrono, invece, interni confortevoli ed ergonomici, assemblati con la qualità costruttiva degna del miglior produttore d’auto tedesco. Nonostante tutta questa civilizzazione ed il gran garbo con cui si viene accolti da queste moderne granturismo, è inevitabile non percepire la calda e poco rassicurante ferocia di cui sarebbero capaci se un impavido decidesse di sfidarle scaricando sull’asfalto ogni singolo cavallo dei mostruosi propulsori che nascondono in grembo. Le due belve pronte a ricevere le mie amorevoli carezze sono una rossa 458 Italia ed una nera, cattivissima a guardarla anche da ferma, 599 GTB Fiorano.

Entrambe, nonostante possano essere considerate ormai un classico (altri aggettivi, se si parla di Ferrari non più in produzione, sono assolutamente inopportuni), sono espressioni di una Ferrari maturata da quando la casa emiliana produceva auto che sacrificavano molte delle caratteristiche proprie di un veicolo stradale a tutto vantaggio della pura prestazione ed efficacia in pista.

Inizio esaminando la 458 Italia. Mi avvicino alla cavallina rampante con il dovuto rispetto reverenziale e cammino, girandole attorno con uno sguardo tra il serio e l’instupidito, non riuscendo a celare un sorriso beffardo come a tentare di comunicare alla vettura che di lì a poco sarei stato io a far cantare i suoi cilindri. La 458 ha un design davvero sorprendente e, nonostante sia stata recentemente rimpiazzata dalla 488 GTB, non dimostra i suoi anni sotto nessun aspetto. Esteticamente è a dir poco attuale con quelle linee audaci e sinuose, i proiettori anteriori allungati inaugurati qualche anno prima dalla “sorellina” California, la linea di cintura che va a sfumare dolcemente nella coda alta affiancata dai prominenti passaruota che contengono i grossi pneumatici ed i cerchi dalle 5 razze sottili.

Ciò che meno fa percepire gli anni trascorsi sono, però, i suoi avveniristici interni. Inizialmente si rimane un po’ spiazzati dalla moltitudine di comandi apparentemente “sparsi” all’interno dell’abitacolo in varie posizioni. Con quest’auto Ferrari ha inaugurato uno stile rivoluzionario del cockpit, azzardando con alcune soluzioni tecniche ma mantenendo l’ergonomia utile a sentirsi sempre a proprio agio, sia che si stia tornando a casa dal lavoro in una fredda giornata invernale o che se si stia mettendo alla prova l’8 cilindri ed il telaio ad un track day. Il volante racchiude in se una moltitudine di comandi: dall’ormai classico “manettino” per il controllo dinamico della vettura, al pulsante di accensione, ai comandi per la taratura delle sospensioni, clacson, indicatori di direzione, abbaglianti e tergicristalli. Troppe funzioni? Forse, ma era l’unico modo per evitare di installare satelliti sul piantone dello sterzo rubando spazio ai due enormi ed efficacissimi paddles del suo fulmineo cambio elettroattuato.

E’ arrivato il momento: mi calo nel confortevole abitacolo ed il mio pollice sinistro preme il pulsante rosso dell’accensione. Il V8 ad aspirazione naturale si anima come pure il grosso strumento analogico del contagiri ed i due display ai lati dello stesso: questa non è un’automobile, è un’astronave che, per di più, ha un motore termico (non una power unit, ma un MOTORE) da 4 litri e mezzo con 570 “prancing horses” pronti a galoppare fino alla mostruosa soglia delle 9000 rivoluzioni al minuto, con una potenza specifica record per un motore NA di 127 cv/litro.

Tiro il paddle di destra ed un bell’ 1 appare al centro dello strumento analogico. Io, abituato ai “finti” sequenziali (agli automatici con funzione manuale di selezione dei rapporti), mi aspetto che l’auto inizi a muoversi ma non accade nulla. Premo con grande prudenza l’acceleratore e l’auto inizia ad avanzare. E’ un momento abbastanza alto della mia esistenza perché è il primo metro che faccio guidando una Ferrari, e procedendo a 5 all’ora o giù di lì ho ancora la coscienza per poterlo capire. Esco dalla corsia dei box e premo l’acceleratore un po’ più a fondo ma senza mai superare i medi regimi. Ho deciso di tenere i finestrini aperti per ascoltare meglio la “musica” che arriva dall’esterno e nonostante non stia portando il propulsore al suo limite le note sono assai gradevoli ed accompagnano più che degnamente l’elegante incedere della rossa di Maranello. L’andatura turistica è davvero un bel modo di godersi quest’auto perché si ha il modo di valutare razionalmente ciò che succede attorno a te. Senti i gorgoglii degli scarichi ad ogni cambiata, percepisci che questa è fluida e delicata passando da un rapporto ad un altro, sia in UP che in DOWN; noti l’efficacia della strumentazione chiara e ben visibile di fronte ai tuoi occhi ed è un vero sogno poter avere il tempo di spostare lo sguardo nello specchietto retrovisore esterno ed accorgerti che ciò che stai guidando ha un parafango posteriore largo a tal punto da far sembrare i fianchi di Kim Kardashian piatti come una tavola da surf.

Una volta presa un po’ di confidenza con le dimensioni e la percezione dei comandi della 458 oltre che con le curve del breve circuito, è giunta l’ora di affondare con più decisione il piede sul gas. Sono felice di aver assaporato i chilometri precedenti ad andatura “umana” perché una volta che si lancia la vettura ad alti giri si perde completamente la cognizione del tempo e dello spazio. Il propulsore urla indemoniato dietro le spalle ed il telaio monolitico non fornisce alcun tipo di inerzia alla vettura, almeno in accelerazione. La risposta del gas è fulminea e la vettura sembra si muova comandata dalla mente più che dagli input fisici che le si danno con i movimenti dei propri arti. Le cambiate restano poco percettibili anche ad alti giri e ci si rende conto che si è passati al rapporto successivo solo perché il motivo suonato dal propulsore passa all’ottava più bassa. Curvare con quest’auto è un piacere ma gli errori si pagano e non bisogna sottovalutare la gommatura (relativamente) stretta all’anteriore. Arrivando troppo allegri all’inserimento di una curva i potenti freni rallentano rapidamente la 458 ma, anche mantenendo l’aderenza all’anteriore, si può incappare in un rassicurante sottosterzo che, volendo, si può facilmente mutare in un sovrasterzo di potenza in men che non si dica, complice la spietata prontezza di risposta del V8 Ferrari.

Giusto il tempo di scaldare pneumatici e freni che già devo rientrare ai box ma è assolutamente indubbio che l’esperienza appena vissuta rimarrà scolpita a vita nella mia memoria, tanto intensa e viva è stata; due aggettivi, questi, che ben si adattano alla stupenda 458 Italia. Ogni appassionato, nel proprio cuore, ha alcune auto che, nonostante il passare degli anni, rimangono regine indiscusse dei propri sogni e, ad essere onesti, la 458 non era nell’olimpo dei miei desideri; vuoi per lo stile rivoluzionario o per il solo fatto che, come figlio degli anni ’80, le Ferrari a motore centrale che amavo avevano un design che trasudava più muscoli e testosterone di Vin Diesel, mentre questa ha una linea snella e pulita, sottile ed elegante. Ma dopo averla conosciuta meglio devo dire che a Maranello hanno fatto un autentico miracolo: sono riusciti a mantenere l’aggressività e la ferocia di un’auto figlia della passione di un artigiano come Enzo Ferrari coniugando il tutto con la comodità e le esigenze che un cliente globalizzato del XXI secolo esige. La Ferrari, in poche parole, è cresciuta. Ha imparato i principi dal padre ed una volta che questo se n’è andato ha saputo non replicare le scelte che lui avrebbe fatto, ma ha declinato i valori che le sono stati impartiti nella realtà moderna, mantenendo inalterato ed anzi aumentando il fattore emozionale proprio di ogni rossa di Maranello.

Ancora con la pelle d’oca per l’apice esperienziale raggiunto da quanto appena vissuto e sono già in procinto di fare un’altra conoscenza. Vengo avvisato del fatto che la 458 è un’arma affilatissima e tremendamente evoluta, e quindi di non aspettarmi di provare le medesime emozioni guidando la 599 GTB Fiorano.

C’è da dire che, chi mi conosce, sa che sono un appassionato di auto e di guida d’altri tempi ed un incorreggibile amante dei traversi. Non che in una 458 non si possano fare, per carità, ma una “tutta dietro” ha una guida completamente diversa da un’auto dall’impostazione classica, con motore anteriore e trazione posteriore. Per di più ho una insana fissazione per le grandi dimensioni. Più un’auto è grande e posizionata in alto nella gamma della casa e più mi attira anche se questo, chiaramente, è uno svantaggio per un’auto prestazionale, che vede nelle proprie caratteristiche dinamiche la sua ragion d’essere.

Dico questo per far comprendere che, anche se un’auto non è un animale da pista e si prende 2 secondi al giro da una più piccola e leggera gran turismo a mio giudizio non perde di significato perché ha un altro scopo, segue un’altra filosofia. La 599 infatti, nulla ha a che vedere con la sorellina minore. Certo, è una Ferrari, e certo, è assurdamente veloce e capace di spedire lo stomaco del proprio conducente in luoghi del corpo umano sconosciuti ai più ma, in fondo, è un’ammiraglia.

E come tale è più grande, dentro e fuori, dispone di un propulsore nella sua forma esteticamente migliore e quindi con 12 cilindri e 48 valvole che si muovono comandate da 4 alberi a camme in testa. Splendida visione vederle muoversi per alimentare e liberare dai gas post combustione le camere di scoppio mentre i pistoni danzano comandati dal lunghissimo albero motore a 12 gomiti.

Quest’autentica opera d’arte made in Maranello – Motor Valley (Italy) è un 6 litri da 620 cavalli posizionato anteriormente ma, aperto il vano motore, ci si accorge che per un miglior bilanciamento delle masse è stato arretrato moltissimo, in modo tale da gravare meno sull’asse di competenza e definendo il conseguente spostamento dell’abitacolo che carica il proprio peso al retrotreno. In questo modo l’effetto ottenuto è quello di un’auto equilibrata, da poter gestire agevolmente (sempre se si è abituati a portare a spasso 620 cavalli) in assenza di aderenza.

All’esterno il lavoro di Pininfarina è stato magistrale; pur essendo innamorato alla follia della progenitrice della 599, la mitica 550 Maranello (e la successiva 575M) che nel 1996 ha avuto l’onore ed il privilegio di far tornare un motore anteriore su una Ferrari berlinetta con 2 posti secchi, devo ammettere che in quest’auto sono presenti soluzioni stilistiche davvero originali ed efficaci. Il muso lunghissimo, dovuto proprio al posizionamento arretrato del propulsore, accoglie il parabrezza e lo sfuggente tettuccio chiude nei due montanti posteriori, separati dai cristalli laterali dell’abitacolo e dal lunotto. Le prese d’aria sulle fiancate, una anteriore per estrarre l’aria calda ed una posteriore per convogliarla al retrotreno, sono discrete e non disturbano la pulizia della linea nel suo complesso. Anche i tipici proiettori posteriori sono ben integrati nella carrozzeria mentre quelli anteriori forse eccedono nella discrezione, donando uno sguardo troppo gentile alla 599 che, a mio giudizio, avrebbe avuto bisogno di un frontale leggermente più aggressivo.

Calatomi nell’abitacolo la prima sensazione è di opulenza e ampiezza. Mentre nella 458 mi aspettavo le dimensioni non anguste ma comunque essenziali che ho trovato, qui nella 599 ho constatato la presenza di molto spazio che, pensando ad una Ferrari, non ti aspetti di trovare. Gli interni sono meno futuristici di quelli della 458 ma impreziositi da inserti in alluminio satinato e più “ricchi” nel complesso. Acceso il motore si capisce da subito che sono stati risvegliati dal sonno 12 cilindri. Il suono cupo ed intenso lascia velocemente spazio alla voce acuta che si ascolta a pieni giri, quando tutti quegli organi meccanici decidono di suonare alla massima velocità, senza perdere un colpo, sprigionando vibrazioni che avvolgono il pilota e lo cullano nel suo sognare alla guida di questo concentrato di ingegneria meccanica, design e passione.

La guida è completamente diversa da quella della 458 e le sospensioni a controllo magnetoreologico sono più morbide di quelle della sorellina e questo, assieme al feedback dato dagli altri comandi, rende il guidatore meno “fuso” con il mezzo. Lungi da me il dire che manca il coinvolgimento, sia chiaro, ma lo genera a modo suo: se guidi una 599 devi apprezzarne l’essenza, devi amare la grossa berlinetta sportiva capace di prestazioni assurde ma sempre all’altezza della situazione in ogni contesto tu decida di portarla. Per apprezzarla davvero devi amare non solo ciò che è ma anche ciò che rappresenta, vale a dire la massima espressione delle abilità ingegneristiche ed estetiche della casa di Maranello, ed avere consapevolezza che è l’erede nobile della lunga e solenne storia Ferrari. In poche parole quando guidi una 599 o un’altra berlinetta del cavallino rampante a 2 posti e motore anteriore, anche se solo per qualche ora o minuto, ti senti più parte della storia Ferrari che in qualsiasi altra auto. Queste almeno sono le sensazioni che ho provato io, e forse non è un caso che questa 599, che tanto mi ha coinvolto con la sua sola presenza, avesse uno scarico modificato il quale, oltre a rendere ancora più dirompenti il suono e le vibrazioni prodotte dal V12, emanava un profumo di benzina (non rossa, ma pazienza) degna di un’auto da competizione o, più semplicemente, di una Ferrari a carburatori dei mitici anni ’80.

Articolo Scritto da:
Antonio Polizzi
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