Evoluzione della specie

Come ogni persona dotata di buon senso sa, nella vita i cambiamenti avvengono ed è essenziale esser pronti e saperli accogliere senza venire da questi sopraffatti. Anche per le grandi aziende vale il medesimo principio, e queste sono infatti ben consapevoli che giocare d’anticipo sulle necessità che il tempo e le mode cambiano negli utenti a cui vengono offerti i propri prodotti è essenziale per il successo.

Jaguar, dall’alto del prestigio che porta il felino svettante sui lunghi cofani delle auto della casa di Coventry, ha attraversato momenti storici di grandi difficoltà economiche, spesso a causa del ritardo con cui arrivava a prendere quelle scelte che una grande azienda dovrebbe, invece, saper anticipare.

L’acquisizione da parte di Ford, nel corso degli anni ’80, ha risollevato la casa inglese da una situazione di crisi senza precedenti, e ne ha accompagnato il passaggio da una realtà quasi artigianale all’era industriale e tecnologica moderna, senza far venir meno quel sapore squisitamente British che ogni Jaguar racchiude in sé.

Il motore straight six ad esempio, pronipote del mitico propulsore delle Jaguar MK del 1948, continuò a girare sino al 1995 sotto ai cofani degli splendidi modelli inglesi, seppur profondamente rivisto in ogni sua componente per far sì che il principio in base al quale possedere una Jaguar fosse un piacere anche per il doverla portare in officina per sistemare i difettucci che l’affliggevano venisse meno, aumentando l’affidabilità di ogni modello prodotto sotto l’egida Ford.

Se da un lato questo salvataggio ha tonificato i muscoli dell’amato felino (lavorando su qualità, affidabilità e tecnologia), dall’altro l’ha in qualche modo fatto appesantire, diluendo quella grazia della quale l’elegante animale era sino ad allora stato inarrivabile esempio. Gli straight six ed i V12 lasciarono il posto ai grossi V8 Lincoln (seppur profondamente modificati) aspirati o sovralimentati, e nacquero i nuovi modelli progettati interamente da una Jaguar controllata dall’americanissima casa di Detroit: la XK, la S-Type, la XJ (X350) e la X-Type.

Oggi però il modo è social, le persone son diventate multitasking (a parte il sottoscritto), tutto avviene in tempo reale, ed inevitabilmente le aziende come Mercedes-Benz, al fine di soddisfare tutte le richieste derivanti da una committenza assai più eterogenea di un tempo oltreché mettere in atto il principio della così detta mass customization (personalizzazione di massa), offrono un numero di modelli (incluse varianti) vicino alla trentina. Tanto per fare un paragone basti pensare che negli anni ’80 erano solamente una decina e si conclude facilmente, quindi, che la varietà è sostanzialmente triplicata.

E allora la domanda che sorge spontanea è la seguente: tra tutto questo “ben di Dio”, c’è ancora posto per una Classe E che rappresenti un’istituzione, un simbolo? Oppure il ruolo della grande berlina tedesca viene in qualche modo affievolito dall’enorme quantità offerta di modelli e declinazioni atte a soddisfare ogni gusto ed esigenza?

Tralasciando la piccola del gruppo (X-Type) le nuove XK, XJ ed S-Type erano, per chi è anglofilo come il sottoscritto, auto davvero eccelse sotto molti punti di vista. La XK, sia nella prima che nella seconda serie, era un vero e proprio gattone su 4 ruote: eleganza allo stato puro con artigli affilati per marchiare chiunque le si avvicinasse senza mostrare il rispetto che meritava. La XJ era innovativa (telaio in alluminio, controlli elettronici a più non posso e molto altro) ma non ci si volle scostare troppo dall’originale e si decise di riprendere la linea della vecchia XJ40 (o X300, o X308) aumentandone i volumi, il che non rese molto dal punto di vista estetico ma fu decisamente un perfetto esempio di operazione politically correct. 

Con la S-Type si osò di più, anche solo per l’intenzione di realizzare un veicolo nato per andare a confrontarsi con le berline teutoniche del segmento E che, sino ad allora, avevano fatto il bello e cattivo tempo quanto a quote di mercato. L’auto era interessante, le si era riusciti a dare una credibilità ed una sostanza sia grazie alla sua meccanica affidabile che al suo design che richiamava gli stilemi della vecchia MKII. Poteva piacere o non piacere, non c’erano mezze misure, ma senz’altro costituiva un chiaro attacco all’egemonia delle berline tedesche in un segmento in cui, sino ad allora, non erano presenti rivali degne di nota.

Questa “interpretazione moderna” dello spirito Jaguar data dalla casa americana piacque, ma non quanto ci si attendeva; ed ecco che, a Coventry, arrivò la vera rivoluzione con la progettazione dell’erede della S-Type: la nuova (a quel tempo) XF.

Ogni stilema “classico” venne abbandonato e si ripartì dal foglio bianco. La vettura che ne uscì fu  stupefacente, soprattutto per coloro i quali erano abituati a considerare le Jag come un esempio contemporaneo di nobiltà decaduta. I puristi storsero il naso, ma la vettura rappresentò un grande punto di svolta per la casa di Coventry. Dal mio punto di vista il suo design era più americano che europeo, ma le linee pulite degli esterni si contrapponevano agli interni, che facevano propria l’atmosfera di vecchia Inghilterra tipicamente Jaguar. Tecnologicamente l’auto era molto avanzata e, a differenza della concorrenza, offriva di serie praticamente tutto: cambio automatico con selettore a scomparsa (spettacolare) e paddle al volante, interni in pelle, navigatore satellitare e molto altro. I propulsori erano a 6 ed 8 cilindri, a benzina di derivazione Ford e i Diesel PSA.

Il nuovo corso della casa di Coventry iniziò proprio con la prima serie della berlina XF nel 2008, anno in cui il marchio inglese passò di mano dalla Ford al gruppo Tata.

Considerate tutte queste caratteristiche di pregio dell’ormai datata XF prima serie, ed essendo notoriamente un estimatore delle grosse berline a trazione posteriore – meglio se un po’ snob – ho voluto  svolgere un’interessante prova comparativa.

Approfittando del lancio della nuova Jaguar XF ho infatti avuto la possibilità, nel corso della stessa giornata, di testare 3 gattoni made in Coventry: una XF prima serie (X250) equipaggiata con il V6 2.7 litri da 207 cavalli, una nuova XF con il 4 cilindri da 2 litri capace di 180 cv (la stessa motorizzazione che equipaggia la XE) e, dulcis in fundo, una nuova XF con il V6 3.0 litri da 300 cv e lo stratosferico valore di coppia motrice di 700 Nm.

Jaguar XF 2.7 diesel (X250)

Esteticamente, l’auto che ha rivoluzionato la concezione che oggi si ha di Jaguar Cars Ltd., è senz’altro sbalorditiva. Quest’aggettivo va interpretato nell’accezione più stretta del termine in quanto il pubblico, abituato a 4, rassicuranti, “fanaloni” tondi o ellittici posti ai lati della sobria mascherina sopra alla quale campeggiava il baffuto felino con gli aguzzi denti in vista, ha sgranato gli occhi vedendo, per la prima volta, due proiettori anteriori allungati, dall’insolita foggia triangolare che, per di più, contengono un faro lenticolare che osa protendersi oltre la sagoma delineata per gli stessi, definendo una bombatura che prosegue lungo tutto il cofano motore. Per non parlare dell’indignazione provata dai puristi nel vedere una mascherina anteriore dalle dimensioni così ampie e dall’insolita forma, oltre allo scalpore generato dall’alta linea di cintura e dalle ridotte superfici vetrate laterali e posteriore.

Ironia a parte, i pochi Jaguaristi DOC  sopravvissuti alle aberrazioni stilistiche e meccaniche poste in essere dalla X-Type (motore trasversale, quattro cilindri, trazione anteriore, propulsori diesel e versione Station Wagon… devo continuare?) sono stati definitivamente sterminati alla vista di quella vettura che trasudava modernità e futurismo da qualsiasi lato la si volesse ammirare. Io stesso fui colpito dalla XF ma, poco dopo, riuscii ad interpretare meglio quello strano mezzo che osava indossare con totale nonchalance il baffuto giaguaro al centro di quell’insolita (ma bellissima) calandra a griglia cromata.

Facendo piazza pulita di tutti i preconcetti sullo stile della casa di Coventry ed aprendo la mente, ammettendo per un solo istante l’esistenza della possibilità che il tempo passa e che, talvolta, è bene rendersene conto (mi scuso nuovamente con i puristi per questa mia assurda, oltre che irrispettosa, ipotesi), ammirando la XF ci si può accorgere di quanto sia bella. Esternamente l’ampia calandra cromata come i due piccoli “baffi” nella parte bassa del paraurti sono eccezionali. Questi ultimi proseguono concettualmente disegnando magnifici fregi sui lati del paraurti anteriore e lungo tutta la parte bassa della fiancata grazie ad una piega orientata verso l’alto al fine di riflettere la luce naturale e creare, senza necessità di appesantire e rendere meno sportiva la vettura con l’applicazione di cromature, un movimento in grado di alleggerire l’importante superficie metallica laterale, che con i soli ostacoli delle maniglie per l’apertura delle portiere va ad incontrare la cornice cromata dei sottili finestrini, dai quali si intravedono i sontuosi interni.

Il padiglione scende dolcemente sullo sfuggente terzo volume che, alto e compatto, accoglie il basso lunotto e sovrasta i bei gruppi ottici posteriori a “J”, oltre che il paraurti ed i due terminali di scarico cromati dalla forma coerente con lo stile moderno della vettura.

Vista l’importanza dei volumi in gioco, infine, gli enormi cerchi in lega sono necessari a rendere gradevoli le proporzioni del mezzo.

Internamente la sorpresa. No, non si ritrova il mitico selettore a “J” del cambio automatico dei modelli precedenti, ma l’atmosfera elegante, calda ed accogliente tipica delle Jag di un tempo è intatta. Gli inserti in radica e la pelle “pieno fiore” dei sedili e dei rivestimenti di plancia, pannelli porta ed organi di comando sono rimasti e si sposano (stranamente) bene con il largo impiego di pulsanti e pannelli color alluminio, che ringiovaniscono e rischiarano quell’interno che, sino a qualche anno prima, poteva esser considerato fin troppo austero. Ciò che maggiormente apporta agli interni una ventata di modernità sono quindi i materiali, alcune soluzioni tecnologiche “cool” come le luci delle plafoniere a sfioramento ma, su tutto, prevale il magnifico selettore circolare del cambio automatico ZF che, ad ogni accensione, fuoriesce dal tunnel centrale per consentire al conducente la selezione del rapporto desiderato. Lode a chi ha partorito quest’idea semplice ma dall’effetto scenografico di assoluto rilievo.

Ammirata l’ormai “vecchia” XF per l’ennesima volta mi accomodo nell’accogliente sedile ed accendo il propulsore a ciclo diesel. Dall’esterno il V6 PSA è un po’ più rumoroso di quello che pensavo fosse, ma dentro l’abitacolo i pannelli fonoassorbenti svolgono bene il proprio compito. La strumentazione si illumina e fuoriesce magicamente il comando per la selezione delle marce; lo posiziono in D e la vettura si muove. I comandi sono tutti facilmente accessibili ma per chi ama la posizione di guida con il sedile “tutto giù” la plancia ed il tunnel centrale fanno ben percepire la loro altezza, dando la sensazione di aver scelto una posizione un po’ troppo infossata all’interno dell’abitacolo. L’assetto del veicolo è più rigido del previsto (la vettura in prova monta cerchi da 20 pollici), a tutto vantaggio della sensazione di controllo e della stabilità in curva, mentre l’impianto frenante è efficace e preciso, grazie al comando dalla corsa ridotta e dalla buona consistenza. Il motore non dimostra i suoi anni ed i sei cilindri aiutati dalle 2 turbine fanno scalare il contagiri molto velocemente grazie ai 207 cavalli a disposizione. L’erogazione è corposa e la curva di coppia ben studiata per non dare la tanto odiata (almeno dal sottoscritto) sensazione di avere tutto subito per poi rimanere con una spinta costante sino al classico decadimento che costringe a cambiare rapporto; ritengo che questo sia merito di una buona taratura della doppia sovralimentazione. Scendo dal veicolo compiaciuto del fatto che Jaguar sia riuscita, ormai 8 anni fa, a creare un’auto che è stata davvero capace di guardare al futuro, rivoluzionando tutto ciò con cui veniva identificata la casa di Coventry sino ad allora.

Dimostra 8 anni? No.

Chi si lamenta della scarsa risoluzione del touch screen, o dei chilogrammi di radica presenti nei pannelli porta non ha capito nulla della XF, e tanto meno di Jaguar. Quest’auto è un capolavoro, ed è innegabile sia stata capace di anticipare mode e necessità dell’utente. E’ stata in grado di coniugare originalità ed eleganza in un modo, a parer mio, eccelso.

Sceso dal primo gattone alquanto soddisfatto eccomi innanzi al vero motivo della mia visita in Jaguar: la Nuova XF.

Nuova Jaguar XF 2.0 Diesel – 180 cv

Come le prime fotografie viste sul web lasciavano intendere la XF è chiaramente un’auto tutta nuova, completamente riprogettata nei contenuti e nelle modalità costruttive, con molte eccezionali qualità che la contraddistinguono dalla precedente ma, stilisticamente, rispetto a questa non è altrettanto rivoluzionaria. Inizialmente questo fatto mi ha lasciato interdetto perché immaginavo che, dopo lo stupore generato con la vecchia XF, a Coventry avessero preso il vizio di lasciare sbalorditi gli utenti che attendevano trepidanti l’arrivo del nuovo modello ed invece la parentela con l’antenata è, fortunatamente, presente.

In altre parole si potrebbe quindi affermare che, in modo completamente opposto e quindi non stravolgendo il design precedente, anche stavolta hanno saputo stupire; questi inglesi…

La vettura riporta alcuni stilemi oramai diventati tipici della casa britannica: l’ampia calandra, i proiettori anteriori ad occhio di felino, il profilo imponente, la forma della cornice dei finestrini in alluminio, la coda alta ed i fanali posteriori che si differenziano da quelli del vecchio modello per acquistare un disegno simile a quello visto su F-Type e XE.

La nuova XF quindi, esteticamente, non è rivoluzionaria quanto la precedente, ma ha senz’altro sposato il concetto evolutivo. Partendo dalla X250 che ha cambiato il modo di pensare ad una Jaguar, a Coventry devono aver valutato che la vecchia auto era talmente avanti e ben riuscita che sarebbe stato un errore modificarla pesantemente. Ed il risultato dei loro sforzi ha assolutamente dato loro ragione.

L’auto rispetto alla precedente appare visivamente più grande (ma è solo un effetto ottico perché, in realtà, è più corta di 7 millimetri) ed elegante. Le superfici vetrate sono aumentate ed il profilo laterale fa risaltare maggiormente l’importante lunghezza della vettura, ponendola quasi ad un livello superiore del segmento a cui appartiene. Anche il terzo volume è meglio definito e conferisce all’auto un aspetto più regale, oltre che dare la sensazione di possedere maggiore spazio per bagagli ed abitabilità posteriore. Queste percezioni che si hanno solo ammirando la linea della vettura si scoprono poi corrispondere a reali aumenti di volume interno non solo nominale, ma ben percepibili una volta accomodatisi nella XF. Mentre i posti anteriori sono molto ampi, quanto quelli della precedente versione, il divanetto posteriore risulta essere invece più fruibile e riesce ad accogliere comodamente 3 adulti. Anche il bagagliaio ha ora una conformazione più regolare e sfruttabile di quanto non fosse nella precedente XF.

La nuova XF quindi, esteticamente, non è rivoluzionaria quanto la precedente, ma ha senz’altro sposato il concetto evolutivo. Partendo dalla X250 che ha cambiato il modo di pensare ad una Jaguar, a Coventry devono aver valutato che la vecchia auto era talmente avanti e ben riuscita che sarebbe stato un errore modificarla pesantemente. Ed il risultato dei loro sforzi ha assolutamente dato loro ragione.

L’auto rispetto alla precedente appare visivamente più grande (ma è solo un effetto ottico perché, in realtà, è più corta di 7 millimetri) ed elegante. Le superfici vetrate sono aumentate ed il profilo laterale fa risaltare maggiormente l’importante lunghezza della vettura, ponendola quasi ad un livello superiore del segmento a cui appartiene. Anche il terzo volume è meglio definito e conferisce all’auto un aspetto più regale, oltre che dare la sensazione di possedere maggiore spazio per bagagli ed abitabilità posteriore. Queste percezioni che si hanno solo ammirando la linea della vettura si scoprono poi corrispondere a reali aumenti di volume interno non solo nominale, ma ben percepibili una volta accomodatisi nella XF. Mentre i posti anteriori sono molto ampi, quanto quelli della precedente versione, il divanetto posteriore risulta essere invece più fruibile e riesce ad accogliere comodamente 3 adulti. Anche il bagagliaio ha ora una conformazione più regolare e sfruttabile di quanto non fosse nella precedente XF.

La plancia ne riprende alcune caratteristiche, accogliendo inoltre l’ormai classico “abbraccio” del fregio che dai pannelli porta raggiunge la parte superiore della plancia, così come l’abbiamo conosciuto nella XJ e continuato ad apprezzare nella XE.

I materiali sono di altissima qualità come le finiture e gli accoppiamenti tra i pannelli. Ora nella parte superiore del tunnel centrale campeggia un grande schermo touch screen da oltre 10 pollici mentre al di sotto di questo sono presenti i comandi della climatizzazione e del cambio automatico, che vede permanere il magnifico selettore circolare a cui, in questo nuovo modello, è stato riservato ancora più spazio ed attenzioni.

Dopo aver osservato a lungo questo nuovo, magnifico esempio di berlina sportiva sono finalmente giunto al momento della prova su strada della versione equipaggiata con il 4 cilindri diesel da 180 cv; il medesimo propulsore montato nella sorellina XE.

Ciò che viene subito da pensare è che, su un’auto visibilmente più grossa e dalla maggiore stazza come questa, lo stesso motore montato sul modello di segmento inferiore possa sfigurare, giustificando quest’abbinata motore-corpo vettura solo per la necessità di creare una versione economica della XF facendo la più semplice operazione di downsizing.

Nulla di più sbagliato.

Questo, perché la maggiore qualità della XF sta tutta in una parola che al connazionale Colin Chapman era tanto cara: leggerezza.

Il nuovo felino made in England infatti può contare su un innovativo sistema di costruzione dell’autotelaio ad alta intensità di alluminio con pannelli rivettati, non incollati, che la rende estremamente leggera, al punto da far fermare l’ago della bilancia a soli 1545 kg, pochissime decine in più rispetto al già ridotto peso della sorellina XE (e pari a 190 kg. in meno rispetto alla vecchia XF).

Va da sé che la vettura, con il motore 2 litri diesel da 180 cv che sulla XE avevo già constatato essere particolarmente brillante e pronto nella risposta, grazie alla poca massa in questione ben si presta a “tollerare” un motore dalla ridotta cubatura come questo.

Acceso il propulsore tutta la strumentazione e l’illuminazione all’interno dell’abitacolo fa sfoggio della sua magnificenza. Senza troppi panegirici parto alla ricerca di una strada poco trafficata per scoprire quanto il motore possa effettivamente esser considerato come opzione adeguata ad un’auto d’alto lignaggio come questa. Il sound, salendo di giri, non è il suo miglior pregio e forse un po’ sfigura in quest’auto, ma dal punto di vista dinamico ha la spinta e le qualità per permettere di apprezzare le grandi doti dinamiche di questa nuova XF. La vettura è maneggevole e dà al conducente la netta sensazione di non avere un’inerzia tale da non permettere di divertirsi anche con questo buon 4 cilindri diesel da 180 cv. L’esperienza di guida è appagante e si ha la netta percezione di essere in un’auto molto raffinata dal punto di vista dinamico. E parlo di raffinatezza meccanica e costruttiva autentiche, non di quella derivata da palliativi indotti da una gestione elettronica eccessivamente opprimente. Sterzo, sospensioni e freni sono davvero all’altezza del nome ed anche il motore, devo ammetterlo, non dà l’impressione di essere una semplice operazione di marketing per vendere più esemplari possibili, ma è dimensionato alla perfezione per questa nuova, intelligente, XF.

Jaguar nuova XF 3.0 Diesel – 300 cv

Sceso dalla versione “umana” della nuova XF ad attendermi c’è una vettura gemella che, dall’aspetto, non lascia presagire le sue reali doti velocistiche. Ripercorro le medesime strade appena varcate con la sorella meno potente e, da incauto quale sono, decido di utilizzare lo stesso piglio disinvolto anche se, sotto al cofano, c’è un V6 da 300 cavalli. Inutile dire quanta differenza facciano quei 120 cavalli in più. Il motore tutto sembra tranne che un ciclo diesel. Il suo suono (e, assicuro, non ho mai utilizzato questo sostantivo per un motore a gasolio), al minimo come in piena accelerazione, è davvero intenso e le vibrazioni emesse permettono un coinvolgimento totale nella guida. La maggiore potenza viene erogata con una brutalità impressionante grazie ai 700 Nm di coppia motrice che incollano allo schienale del sedile come in poche altre vetture accade. La spinta è tale che dà la sensazione di non finirei mai e grazie all’inerzia generata da quell’impressionante balzo in avanti non è facilmente percepibile il decadimento della curva di coppia tipica dei motori a gasolio. Per quanto onesto ed opportuno possa essere il propulsore da 180 cv è senz’altro questa la motorizzazione che merita la nuova XF, che credo sia stata sviluppata in ogni sua componente per sostenere una potenza e regalare un’emozione di guida di questa intensità. A velocità ridotta il comfort di marcia è eccelso, e sapere che affondando il pedale del gas si può essere comodamente catapultati in un istante a chilometri di distanza è un aspetto da non sottovalutare: dà una sicurezza ed un appagamento assolutamente inestimabile. L’unico neo di questo splendido propulsore è un lievissimo ma percettibile ticchettio se ci si sofferma ai medi regimi di giri ma, non fosse per questo, mai si immaginerebbe di essere alla guida di un’auto a gasolio.

Sceso dalla versione “umana” della nuova XF ad attendermi c’è una vettura gemella che, dall’aspetto, non lascia presagire le sue reali doti velocistiche. Ripercorro le medesime strade appena varcate con la sorella meno potente e, da incauto quale sono, decido di utilizzare lo stesso piglio disinvolto anche se, sotto al cofano, c’è un V6 da 300 cavalli. Inutile dire quanta differenza facciano quei 120 cavalli in più. Il motore tutto sembra tranne che un ciclo diesel. Il suo suono (e, assicuro, non ho mai utilizzato questo sostantivo per un motore a gasolio), al minimo come in piena accelerazione, è davvero intenso e le vibrazioni emesse permettono un coinvolgimento totale nella guida. La maggiore potenza viene erogata con una brutalità impressionante grazie ai 700 Nm di coppia motrice che incollano allo schienale del sedile come in poche altre vetture accade. La spinta è tale che dà la sensazione di non finirei mai e grazie all’inerzia generata da quell’impressionante balzo in avanti non è facilmente percepibile il decadimento della curva di coppia tipica dei motori a gasolio. Per quanto onesto ed opportuno possa essere il propulsore da 180 cv è senz’altro questa la motorizzazione che merita la nuova XF, che credo sia stata sviluppata in ogni sua componente per sostenere una potenza e regalare un’emozione di guida di questa intensità. A velocità ridotta il comfort di marcia è eccelso, e sapere che affondando il pedale del gas si può essere comodamente catapultati in un istante a chilometri di distanza è un aspetto da non sottovalutare: dà una sicurezza ed un appagamento assolutamente inestimabile. L’unico neo di questo splendido propulsore è un lievissimo ma percettibile ticchettio se ci si sofferma ai medi regimi di giri ma, non fosse per questo, mai si immaginerebbe di essere alla guida di un’auto a gasolio.

Finita questa lunga ma piacevolissima prova comparativa non posso che ammirare quanto fatto dalla casa di Coventry con le sue auto di questo segmento di mercato, così complesso ed agguerrito nella concorrenza. Dopo la rivoluzione posta in essere con la prima serie della XF questa nuova vettura rappresenta un’ottima, riuscitissima evoluzione della precedente. Jaguar continua senz’altro a stupire e a rivoluzionare l’immagine che dà di sé con altri veicoli, quali la XE e la F-Pace, ma la XF oramai ha un’identità ed un carattere consolidati, che hanno permesso di passare dalla necessità di una dirompente e stravolgente rivoluzione ad un’armoniosa, serena ed elegante evoluzione della specie; molto più British style.

Articolo Scritto da:
Antonio Polizzi
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