Conflitti interiori

Spesso nella vita si è sottoposti a conflitti interiori non indifferenti. Siamo esseri complessi, costituiti da personalità, preferenze ed attitudini caratterizzanti, derivate da sensibilità, cultura ed esperienze maturate nel tempo; in quanto esseri sociali, però, siamo al contempo obbligati (e per fortuna) a relazionarci con i nostri simili, dalle caratteristiche e culture anche distanti dalla nostra, ma con i quali abbiamo bisogno di interagire.

Coniugare il nostro “io” con la necessità di relazionarci con gli altri può apparire semplice, ma tale facilità deriva dall’abitudine che abbiamo a modificare noi stessi in base al contesto. Ciò che determina il vero conflitto interiore è quindi riuscire a “parlare la lingua degli altri” senza snaturare ciò che si è veramente, anche se l’ambiente in cui siamo calati – specie se rimane il medesimo per lungo tempo – è in grado di insinuarsi nel nostro essere donandoci qualcosa che prima ci era estraneo. Questo è positivo sino a quando il processo determina un arricchimento, lo è meno se arriva a farci perdere la bussola e cambia ciò su cui abbiamo sempre basato la nostra esistenza (e le nostre scelte ben ponderate) a causa di mera disattenzione o abitudine a farsi trasportare da bisogni superflui o dall’altrui pensiero.

Per le automobili e lo scopo per cui vengono realizzate vale lo stesso principio. Da un lato c’è una casa automobilistica, magari antica e dalla storia colma di prestigio, che ha abituato generazioni di appassionati o semplici utilizzatori ad esser considerata in un certo modo per alcune peculiarità specifiche, e dall’altro c’è l’utenza o, meglio, quel complesso sistema che le richieste di questa genera, vale a dire quella figura leggendaria e mostruosa chiamata “mercato”, che esige di far compiere ai produttori scelte talvolta in contrasto con le caratteristiche che hanno reso celebre e di successo un marchio.

Dopo la crisi finanziaria (prima) ed economica (poi) lasciata in eredità dalla prima decade del millennio, il settore automobilistico torna ora a far (bei) numeri, e li fa non solo con le vetture che hanno fatto propria la filosofia per la quale “meno è, meglio è”, e figlie degli slogan per cui usare lo stretto indispensabile delle risorse del pianeta è condizione necessaria affinché i nostri figli non siano condannati a veder offuscata l’atmosfera da una nube tossica “globale”.

Quelle auto, oggi, rappresentano infatti solo una piccola parte della domanda. Ora è tornato il tempo dei SUV, e rispetto a quelli dei primi anni 2000 questi si fanno pure più belli, curati e raffinati perché oramai il “Premium” è un concetto irrinunciabile, tanto per la citycar quanto per l’autobus a 7 posti della mamma in carriera (o moglie del papà in carriera se preferite, ma la prima soluzione è più attuale, politicamente corretta e gender equality).

Ecco che c’è bisogno di nuovi Sport Utility, e come poteva una casa “famelica” di quote di mercato come Jaguar non approfittare di questa tendenza per offrire la propria interpretazione di SUV in occasione della nuova primavera di questo segmento?

Come si diceva il felino ha fame ma, dopo il lancio di molti nuovi prodotti che possono essere facilmente giustificati e considerati coerenti con la filosofia e la storia del marchio (XJ, XE, XF, F-Type), ecco che è venuto a porsi un problema non da poco: come farà Jaguar – ci si chiedeva – a riuscire a produrre un SUV abbastanza “cattivo”, dinamicamente efficace ed esteticamente elegante, in modo da non risultare un mero tentativo di “inseguimento” delle altre case per tentare di competere in un segmento così appetitoso?

La risposta è stata la C-X17, oggi conosciuta come F-Pace.

Già, perché proferire il nome della Concept presentata nel 2013 (C-X17) o la denominazione commerciale destinata al primo SUV Jaguar è equivalente, tanto la somiglianza tra le due vetture è marcata.

Se possibile la F-Pace è ancora più bella della Concept, che forse estremizzava alcuni concetti stilistici ora più misurati, eleganti, riusciti.

Dopo averla ammirata staticamente qualche settimana fa ed averle preso le misure valutando in modo senz’altro positivo i richiami stilistici alla sorella sportiva F-Type, ora è finalmente giunto il momento di provarla su strada.

Nonostante la grande voglia e l’intenzione di descrivere approfonditamente le doti dinamiche del veicolo è davvero impossibile non tornare a soffermarsi sulle linee eleganti che compongono la struttura del SUV made in Coventry. I pannelli, con le loro curve morbide e sinuose, abbracciano il telaio in alluminio (per l’80%) riuscendo a dar vita ad una vettura visivamente compatta, nonostante gli ingombri difficili da dissimulare. L’eleganza della fiancata e lo sfuggente profilo laterale ben si abbinano al frontale imponente che, con il tipico rigonfiamento nella sezione centrale del cofano motore, sa donare quell’aggressività tipica delle nuove “Jag”, aiutato anche dagli splendidi proiettori con daylight dall’inconfondibile forma ad “occhio di felino”.

Tutti questi elementi risultano essere ancora più apprezzabili se la vettura è “vestita” con una livrea chiara o con una colorazione sgargiante come il “Caesium Blue” nel quale era declinata l’auto in prova. Tale colorazione, disponibile nella versione speciale “First Edition”, rende davvero straordinario l’impatto della F-Pace che, anche grazie ai cerchi in lega “Double Helix” da 22 pollici, riesce ad enfatizzare il concetto di sportività ad un livello superiore a quello che in genere riescono ad esprimere i SUV.

Gli interni, anche questi più gradevoli se i sedili sono in tinta chiara per aumentare il contrasto con la plancia ed il tunnel neri, sono una vera e propria ode alla semplicità ed all’eleganza. I display LCD da 10,2 pollici sul tunnel centrale rappresenta il punto focale di tutta la vettura. Dallo stesso si comandano i vari dispositivi di bordo, le funzioni dell’infotainment ed il navigatore, le cui indicazioni possono venire riportate anche innanzi agli occhi del guidatore se la vettura è equipaggiata con il comodo ed intuitivo Display del quadro strumenti da 12,3 pollici con quadranti virtuali. I pulsanti fisici sono pochi, ben raggruppati e facilmente raggiungibili, tanto da risultare user friendly anche dopo pochi chilometri di guida.

Lo spazio a bordo è più che sufficiente, ma una volta entrato in abitacolo mi sono reso conto che, al di là dell’altezza di guida, riuscivo a sentirmi davvero all’interno di una Jaguar. Inizialmente tale percezione sembrava derivare dalla figura del giaguaro al centro del volante, poi dalla profusione di pelle ed alcantara (che ricopre il cielo della vettura) ma, in ultima istanza, ho compreso provenire dal modo di accogliere gli occupanti che questa F-Pace offre. Chi acquista un SUV spesso immagina di avere uno spazio a bordo abbondante ed un’abitabilità da “casa nella prateria”, ma chi ama ed acquista una Jaguar sa che una vera inglese dall’animo sportivo non deve permettere posture improprie ed ineleganti, quanto semmai donare estremo confort agli occupanti che dignitosamente vivono gli interni di una vettura di questo rango. In buona sostanza, una volta accomodatisi sul sedile (di guida o qualsiasi altro) si viene avvolti e confortevolmente “vestiti” dalla F-Pace. Questa è una sensazione che poche auto riescono a dare, specie in questo segmento, ma è senz’altro stata voluta per un semplice motivo: non sconfessare la propria natura.

In coerenza con questo principio anche le sensazioni di guida ricordano quanto affilati possano essere gli artigli di questo SUV inglese.

Il propulsore testato è probabilmente quello meglio dimensionato per l’interpretazione che verrà data nel nostro paese alla F-Pace: un grosso e potente 6 cilindri, 3 litri diesel da 300 cavalli e 700 Nm di coppia motrice.

Tale propulsore, che ho già avuto modo di testare nella sorella XF, dà sfoggio di prestazioni a dir poco impressionanti. Una volta acceso non si sente nemmeno all’interno dell’abitacolo ma al più piccolo sfiorare dell’acceleratore prende vita e catapulta gli occupanti con una veemenza inaudita. I cavalli sono molti ma è il valore di coppia che lo rende selvaggio, al punto da chiedersi quando finirà la spinta, anche perché gli innesti del cambio sono talmente rapidi ed impercettibili che enfatizzano la sensazione di propulsione senza fine.

Il pedale del gas è deputato ad un compito talmente delicato che è stato progettato per opporre più resistenza del normale, al fine di scongiurare involontarie pressioni che determinerebbero il decollo dell’F-Pace (forse il concetto è un po’ estremizzato, ma rende l’idea).

Altra piacevole caratteristica del propulsore diesel è la sua gradevolissima voce. Solitamente i motori a gasolio rivelano la loro natura per il brutto gorgoglio che emettono ma questo 3 litri, invece, ruggisce. Un piccolissimo ticchettio ad un regime intermedio di giri si percepisce per pochi istanti, poi la voce tipica di un benzina sovralimentato riempie l’abitacolo ed enfatizza ancor di più la sensazione di velocità che è in grado di donare la “Jaguarona”.

L’assetto è ben impostato ma nelle ampie curve il rollio è avvertibile, mentre nei cambi di direzione veloci la vettura rimane composta. La capacità di assorbire le asperità della strada è efficace, riuscendo a filtrare il necessario ma non di più, complice anche la gommatura da 22 pollici che permette un buon feeling di guida, coerente con lo spirito sportivo della vettura.

Conclusa la prova su strada l’opinione è che, questo SUV, è davvero in grado di colpire.

Lo fa soprattutto con quello che, a prima vista, temevo avrebbe dovuto sacrificare per giustificare la propria esistenza: riesce infatti ad essere un SUV, ma continuando ad essere indiscutibilmente Jaguar. A Coventry hanno centrato l’obiettivo, riuscendo a realizzare una vettura dalla natura presumibilmente poco affine al retaggio della casa ma che ora, invece, può essere considerata una Jaguar a tutti gli effetti.

Tale traguardo è stato raggiunto grazie alla reincarnazione dello spirito tipico delle vetture Jaguar in un concetto nuovo, salvaguardando la natura del marchio, che ora vede la silhouette del giaguaro campeggiare all’interno di un SUV grande ma maneggevole, grosso ma elegante, confortevole ma mai dispersivo. Perché il lusso non sta nello spazio assoluto, ma in quello necessario a contenere la pura, autentica, eleganza.

Articolo Scritto da:
Antonio Polizzi
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