Trent'anni di BMW 850

la nascita dell'automobile contemporanea

Quando si è bambini tutta la realtà circostante sembra essere permeata da un po’ di magia; è come se i sensi avessero un rapporto più intimo e diretto con le emozioni che proviamo. Tutto ciò che è il raziocinio, tutto quello che è “in più” e che ci lega maggiormente alle abitudini ed all’ordinarietà ci anestetizza, privandoci di buona parte di quella magia che ci aiutava a sognare e a gioire di cose delle quali, da adulti, difficilmente ci si accorge.

#testdrive

In nostro soccorso, però, arriva la memoria, spesso aiutata da input sensoriali che consentono di trasportarci indietro nel tempo, facendoci rivivere parte di quelle emozioni che credevamo sopite per sempre.

E questi ricordi sono essenziali per permetterci di inseguire i nostri sogni, quelli che sono stati tali molto tempo fa, quando eravamo senz’altro più consapevoli di oggi di non sapere quasi nulla di quel mistero fantastico e prezioso che è la vita.

30 anni fa ricordo bene l’emozione provata stringendo tra le mani un modellino in scala 1:24 di un’automobile che mai avrei pensato di poter conoscere bene nel mondo reale, ma che grazie alla fiducia ed alla stima di qualche buon amico, sono riuscito ad apprezzare più di quanto avrei mai sperato di fare.

Il bambino di 5 anni che è in me ricorda ancora come quel modello dell’affusolato coupé argento metallizzato mi rese orgoglioso di una scelta fatta, fiero di aver avuto il coraggio di rinunciare a un giocattolo tanto ambito (del quale, oggi, non ricordo assolutamente nulla) visto tra le mani di un ragazzino poco più grande di me il quale, a sua volta, non riuscì a trattenere un intenso sguardo di ammirazione per quella linea sinuosa e muscolosa al tempo stesso, capace di accarezzare il vento con le sue forme gentili, ma anche di domarlo grazie ai muscoli d’acciaio che emergevano dalle nervature dei passaruota. Dolcezza e rigore fusi assieme in modo impeccabile.

Un incontro fortuito di due bambini avvenuto lungo una passeggiata in riva al mare, ognuno con il proprio giocattolo in mano, con la propria scelta compiuta, che ancora ricordo bene, e che forse ha contribuito a farmi amare ancor di più quell’opera d’arte rappresentata dalla BMW 850 E31.

Nel 1989 le automobili si facevano ancora per bene.

Non erano, come oggi, ammassi informi di scelte tecniche e stilistiche dettate quasi unicamente da logiche di contenimento dei costi e da studi di marketing, compiuti per lo più da soggetti che non amano e nemmeno apprezzano le automobili.

Nel 1989 c’erano i progettisti ed i designer che insieme avevano un’idea e cercavano di dare il meglio per promuovere quell’intuizione, sperando che il mercato la apprezzasse.

La 850 è nata così, da una BMW che stava conoscendo una fase di crescita importantissima, e che voleva promuovere la sua idea di GT moderna, molto differente da quella immaginata dai cugini di Stoccarda. Se questi ultimi infatti declinavano il concetto di Gran Turismo puntando su comodità e design elegante ma ben poco sportiveggiante, BMW, invece, aveva capito che per sostituire la bella 635Csi doveva creare qualcosa di davvero nuovo, qualcosa che sapesse veramente anticipare i tempi rispetto alla concorrenza.

Per farlo utilizzò tanta tecnologia, il suo DNA sportivo ed un design capace di catturare lo sguardo di chiunque.

Ora che posso davvero ammirarla e sfiorarne le forme in scala 1:1 mi accorgo di quanto sia speciale quest’auto. Le proporzioni dei volumi sono chiaramente votate alla sportività, ma riesce al contempo ad esprimere un’eleganza eccezionale.

Ciò che colpisce maggiormente è il lunghissimo cofano motore che custodisce, come uno scrigno, il propulsore V12, il mitico M70, e nasce da un musetto basso che ospita poche feritoie e due grossi vani ove sono alloggiati i proiettori anteriori ai lati di un “nasino” piccolo e misurato che nulla ha a che vedere con l’abominio della sua discendente moderna, la nuova 850, affetta da evidente ipertrofia renale. Tale curata bellezza è sovrastata dal già citato immenso cofano motore, segnato dal rigonfiamento centrale e tagliato al fine di dare alloggiamento ai leggendari fari a scomparsa, elemento simbolo dell’automobilismo di quei gloriosi anni.

L’abitacolo arretrato nasce dall’inclinato parabrezza ed è avvolto dalle ampie superfici vetrate laterali prive di montante centrale, soluzione usata in altri eccellenti casi e che consente, a finestrini aperti, di sentirsi quasi all’interno di una cabrio tanta è l’ariosità generata. Oltre a questo ne giova anche la visibilità in ogni direzione, cosa da non sottovalutare tenendo a mente l’importante ingombro della vettura.  Il montante posteriore è sottile e chiude morbidamente il padiglione conducendo lo sguardo alla coda corta e sfuggente, sovrastata dall’ampio lunotto posteriore.

Sotto alla linea di cintura fanno grande sfoggio i bellissimi rigonfiamenti dei parafanghi che evocano inequivocabilmente la potenza e le capacità dinamiche della vettura.

Degni di nota anche i grandi e particolari fari posteriori che evidenziano l’audacia dei designer nell’utilizzare elementi stilistici anche di dimensioni importanti senza timore di privare d’equilibrio il risultato estetico finale.

Unica pecca, ma per lo più dettata da antipatia personale, riguarda la colorazione nera della maniglia della porta che, soprattutto nei colori chiari in cui veniva proposta la vettura, si fa notare fin troppo.

La linea sinuosa della 850 viene inoltre enormemente esaltata dal colore Mauritiusblau dell’esemplare a disposizione: una delle tinte classiche per quest’auto che rende ancora più evidente quanto la sua eleganza sia tale da non richiedere l’impiego di nemmeno una modanatura cromata e le sue proporzioni, perfette, riescono a coniugare detta eleganza con la sportività tipica del marchio Bavarese.

Internamente il design è coerente con la filosofia stilistica utilizzata per gli esterni. Non sono presenti fronzoli di alcun tipo ed i materiali sono solo plastiche di buona qualità e pellami creanti superfici dalle forme gradevoli ed interessanti. I sedili anteriori sono comodi e contenitivi, dotati di regolazioni elettriche e con una caratteristica interessante: a causa dell’assenza del B-Pillar hanno infatti integrate le cinture di sicurezza. La strumentazione analogica grande e ben leggibile affianca le bocchette di ventilazione che sovrastano l’interfaccia del MID (Multi Information Display), dello stereo e del climatizzatore.

Il tunnel centrale ospita leva del cambio del freno di stazionamento ed il portaoggetti sino a condurre lo sguardo alla parte posteriore dell’abitacolo, dove separa con un grosso bracciolo i due sedili posteriori, scomodi soprattutto per chi supera il metro e 65 di altezza.

Il bagagliaio capiente finisce di descrivere l’indole di questa comoda GT, che grazie alla sua abitabilità ed alle sue caratteristiche è l’auto perfetta per compiere lunghi viaggi.

Dal punto di vista tecnico la filosofia da gran turismo viene ancora una volta rispettata, a dimostrazione di quanto la coerenza sia la caratteristica fondamentale di una vettura pensata e progettata da un gruppo di lavoro che aveva un chiaro obiettivo e l’intenzione di donarle un posizionamento ben preciso. Cosa che, oggi, è assai rara se non completamente scomparsa. Ogni anno vediamo, ed anche la serie 8 contemporanea (G15) ne è la dimostrazione, come i vari aspetti della vettura non siano dipendenti da ciò che vuole rappresentare il prodotto, ma ogni ambito viene progettato e sviluppato indipendentemente dall’altro, solo per rispondere alla media delle richieste di soddisfazione dei (presunti) bisogni del bacino di utenza a cui verrà offerta.

Tecnicamente la 850i segue quindi una filosofia coerente con il suo essere GT, ma assolutamente non in modo convenzionale. La rivoluzione sta nel lanciarsi a capofitto nella sperimentazione di tecnologie all’avanguardia, coadiuvando una meccanica moderna ma dalle caratteristiche classiche.

Il grosso propulsore anteriore longitudinale non ha output di potenza esasperati, prova ne sia che il V12 superquadro (M70) ha un’architettura contraddistinta da un singolo albero a camme in testa per bancata e due valvole per cilindro, che gli permette di sviluppare 300 cavali a 5.200 giri/min. con una coppia massima di 450 Nm a 4.100 giri/min., portando la 850i a 250 km/h di velocità massima (autolimitata) scattando da 0 a 100 km/h in 7,4 secondi.

La trasmissione accoppiata al motore M70 è, nell’80% degli esemplari venduti, un cambio automatico a 4 rapporti con 3 modalità di guida. L’alternativa, molto più raramente richiesta dagli acquirenti della 850 proprio a causa dello spirito da gran turismo da viaggio che trasudava da ogni sua caratteristica, era uno dei primissimi cambi manuali a 6 marce, condiviso con la Chevrolet Corvette ZR-1 (C4).

Dopo quattro anni dalla sua presentazione la 850i viene aggiornata e affiancata da altre due motorizzazioni: la 850i diventa 850Ci dotata di un 5.4 litri da 326 cv con cambio Steptronic e vengono introdotte la 840Ci con motore V8 4 litri da 285 cv e la 850CSi – sviluppata da BMW Motorsport – con il V12 portato a 5.6 litri erogante 380 cv sulla quale viene reso disponibile, come optional, il retrotreno autosterzante AHK.

Alla guida della prima, originale 850i E31, lo schema classico con motore anteriore e trazione posteriore fa sì che si riesca a percepire la quasi perfetta ripartizione dei pesi, e l’ottimo handling è assicurato dai pneumatici da 16 pollici e dalle sospensioni a ruote indipendenti con ammortizzatori a regolazione elettronica aventi cinque braccetti per ruota e con una geometria particolare per la quale, in fase di rilascio, avviene una lieve sterzatura delle ruote posteriori. La spinta del motore, pur senza avere caratteristiche velocistiche esasperate, è possente, ed il suo sound del V12, che da basso e possente diventa acuto e vibrante agli alti giri, riesce a coinvolgere pienamente il conduttore alla guida di questa bellissima automobile.

Come detto però, la vera rivoluzione portata da quest’auto è data dal fatto che rappresenta l’inizio di un’era in cui la meccanica non è il solo fattore che definisce il carattere di una vettura.

L’elettronica e la tecnologia hanno inciso pesantemente anche sul comportamento dinamico della 850 grazie all’adozione – oltre all’ovvia presenza dell’ABS – dell’EDC per il controllo elettronico delle sospensioni, dell’ASC+T per il controllo di stabilità e trazione, e dell’AHK: il sistema a 4 ruote sterzanti disponibile sulla 850 CSi.

E’ inoltre stata adottata la tecnologia Multiplex per ridurre l’ingombro dei cablaggi ed offre finezze come lo specchio retrovisore destro che si abbassa in retromarcia, la presenza di un sensore per rilevare la qualità dell’aria che, in caso di necessità, attiva automaticamente il ricircolo in abitacolo e molti altri interessanti ammennicoli elettronici che rendono il comfort di quest’auto pari a quello di un’auto nata decenni più tardi.

Grazie a queste caratteristiche tecniche e finezze tecnologiche alla guida la 850i risulta insospettabilmente appagante. Nonostante si potrebbe immaginare che i tanti filtri compromettano pesantemente la dinamica di guida questo non avviene: la vettura risulta facile ed agile proprio grazie alle “intromissioni” tecnologiche che sono state adottate per renderla fruibile ed al contempo piacevole da guidare. E’ un modo di “sentire” l’auto molto moderno, che all’epoca non era ancora mai stato sperimentato (non in queste proporzioni quantomeno). Un sottile equilibrio fatto di coinvolgimento e di corretto grado di filtraggio per consentire di mantenere il controllo su un’auto potente ed impegnativa.

Gli unici appunti che si possono muovere a questa Bavarese in blu sono uno sterzo poco comunicativo soprattutto alle basse velocità, ed i freni che, seppur potenti, si percepisce vengano affaticati dal peso dell’auto.

Dalla prova su strada si esce dall’abitacolo con una certezza: la 850 è un’antesignana dell’auto contemporanea. Filtrata da ingombranti tecnologie atte a garantire la sicurezza, appesantita dalle tante servoassistenze, ma piacevole e, soprattutto, facile da guidare. Non l’unicorno da domare ma una super granturismo da condurre in rilassatezza.

Con lei è iniziato un approccio nuovo all’automobilismo, che ha permesso di godere dei pregi senza, presumibilmente, scontare dei difetti. Oggi però le case automobilistiche hanno estremizzato tale approccio, estendendolo al modo di concepire e di progettare i veicoli. Non c’è più il guizzo del genio che propone, rischiando, un’auto avveniristica come la 850 E31, al suo posto oggi vi sono studi di marketing con schiere di analisti che indagano cosa piace ai più e vi si adeguano. Sì è reso “semplice” non il mezzo per l’utente, ma il modo di progettare per la casa. Questo fenomeno, assieme alla perdita di identità specifica dei veicoli a causa della globalizzazione, sta pian piano uccidendo l’automobile per come la amiamo noi appassionati.

Speriamo che vi sia il modo per invertire questa tendenza, eliminando l’apatia contemporanea derivata dall’esser certi, su base statistica, di come andranno le cose, e ritornando all’approccio del passato, più rischioso ma immensamente più appagante. Questo, soprattutto al fine di permettere ai piccoli appassionati di oggi di non rimanere delusi una volta compreso quanto le auto contemporanee, anche di alto lignaggio, non siano più espressione di passione e competenza tecnica, ma frutto di compromessi e della trasposizione dei bisogni dell’utenza freddamente determinati.

Articolo Scritto da:
Antonio Polizzi
Torna in alto